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Paradiso e Luoghi Sacri

Con Gesù > Storie brevi per l'anima
Queste piccole storie vogliono solo chiederti un momento di attenzione per quelle voci che abbiamo dimenticato di ascoltare. Quelle voci e quei canti che abbiamo dentro e che ci parlano di cieli azzurri e aria pulita, di sogni e di batticuori, di voglia di abbracciarsi e piangere insieme, di un Dio sconvolgente che è venuto a chiederci di lasciarci salvare da Lui. (Bruno Ferrero)

*Gli altri *I monaci e le rose *Il cerchio della gioia *Il crocifisso *Il deserto piange *Il dettaglio *Il fulmine *Il latte di Dio *Il miraggio *Il monaco povero e il monaco ricco *Il perdono *Il profumo delle rose *Il segreto del paradiso *Il silenzio *Il volto di Gesù *La bontà cambia i cuori *La moneta *La morte della parrocchia *La nuvola e la duna *La predica di San Francesco *La scelta del pittore *Le cavallette nella zuppa *Le mani di Dio *L'eternità *Lo scorpione *L'offerta *Re Magi dimenticati *Ricordare la predica *Sorpresa tra le dune

*Gli altri

Padre e figlio erano seduti accanto in chiesa. Ad un tratto, il bambino toccò il padre e ridacchiò: "Papà, guarda quell'uomo! Sta dormendo!".
Il padre guardò il figlio con molta serietà e rispose: "Sarebbe meglio se dormissi anche tu. Piuttosto che sparlare degli altri".
Alcuni anziani si recarono in visita da Abba Poemen e chiesero: "Secondo te, quando in chiesa sorprendiamo i nostri fratelli a sonnecchiare, è opportuno pizzicarli per farli svegliare?".
L'anziano rispose: "Se vedessi un fratello sonnecchiare, gli appoggerei la testa sulle mie ginocchia e lo lascerei riposare".

Dobbiamo tutti riscoprire che cosa significa "indulgenza".

*I monaci e le rose (Paradiso e luoghi Sacri)
Due monaci coltivavano rose. Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza e del profumo delle sue rose. Il secondo tagliava le rose più belle e le donava ai passanti.
"Ma che fai?", lo rimproverava il primo; "come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose?".
"Le rose lasciano molto profumo sulle mani di chi le regala!", rispose pacatamente il secondo.
C'è una gioia incredibile nel donare. E anche un buon guadagno.
Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il padre portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d’uva.
“Padre portinaio”, disse il contadino, “sai a chi voglio regalare questo grappolo d’uva che è il più bello della mia vigna?” “Forse al priore o a qualche padre del convento”. “No. A te!”. “A me?”. Il padre portinaio arrossì tutto per la gioia.
“Lo vuoi dare proprio a me?”. “Certo, poiché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo.
Voglio che questo grappolo d’uva ti dia un po’ di gioia”. La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del padre portinaio illuminava anche lui.
Il padre portinaio mise il grappolo d’uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattinata. Era veramente un grappolo stupendo.
Ad un certo punto gli venne un’idea: “Perché non porto questo grappolo al priore per dare un po’ di gioia anche a lui?”.
Prese il grappolo e lo portò al priore. Il padre priore ne fu sinceramente felice.
Ma si ricordò che c’era nel convento un vecchio padre ammalato e pensò: “Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco”.
Così il grappolo d’uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del padre ammalato. Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del padre cuoco, che passava le giornate a sudare sui fornelli, e glielo mandò.
Ma il padre cuoco lo diede al padre sacrestano (per dare un po’ di gioia anche a lui), questi lo portò al padre più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro.
Finché, di padre in padre, il grappolo d’uva tornò dal padre portinaio (per portargli un po’ di gioia). Così fu chiuso il cerchio.
Un cerchio di gioia.
Non aspettare che inizi qualche altro. Tocca a te, oggi, cominciare un cerchio di gioia. Spesso basta una scintilla piccola per far esplodere una carica enorme. Basta una tua scintilla di bontà e il mondo comincerà a cambiare.

*Il crocifisso  

In un'antica cattedrale, appeso ad altezza vertiginosa, c'è un imponente crocifisso d'argento che ha due particolarità. La prima è la corona di spine sul capo di Gesù: è tutta d'oro massiccio tempestato di rubini e il suo valore è incalcolabile. La seconda particolarità è il braccio destro di Gesù: è staccato e proteso nel vuoto. Una storia ne spiega il motivo. Molti anni fa, una notte, un ladro audace e acrobatico progettò un piano perfetto per impadronirsi della splendida corona d'oro e rubini. Si calò da uno dei finestroni del tetto legato ad una corda e oscillando arrivò al crocifisso. Ma la corona di spine era fissata molto solidamente e il ladro aveva solo un coltello per tentare di staccarla. Infilò la lama del coltello sotto la corona e fece leva con tutte le sue forze. Provò e riprovò, sudando e sbuffando. La lama del coltello si spezzò e anche la corda, troppo sollecitata, si staccò dal finestrone. Il ladro si sarebbe sfracellato sul pavimento, ma il braccio del crocifisso si mosse e lo afferrò al volo. Al mattino i sacrestani lo trovarono lassù, sano e salvo, tenuto saldamente(e affettuosamente) da Gesù crocifisso.

Nel Nord Africa, un missionario, fu sorpreso dal curioso comportamento di un beduino. Ogni tanto l'uomo si stendeva per terra, lungo e disteso sul terreno, e premeva l'orecchio contro la sabbia del deserto.
Meravigliato, il missionario gli chiede: "Che cosa fai?". Il beduino si rialzò e rispose: "Amico, ascolto il deserto che piange. Piange perchè vorrebbe essere un giardino".
Come vuoi che io parli di Lui? Non posso esprimerlo a parole. Devo viverlo e basta. Vorrei gridarlo, vorrei sbatterlo in faccia a tutti. Per la strada, nel metrò, l'indifferenza, il disprezzo, la collera che mi assale, vorrei distruggerli per sempre. Se questo è il volto di Dio io sono pagana.
Ma so che egli esiste nel mondo di uomini e donne che vivono semplicemente la vita e sanno nel sorriso e nello sguardo di poter accendere una stella nel cuore di un bimbo, di un povero, di un vecchio. Tutte queste stelle disperse, sparpagliate per il mondo, finiranno un giorno per abbracciare l'universo. Nel fuoco di amore e di gioia brillerà il volto di Dio, per grazia di alcuni. In loro io ho fiducia, voglio cercare di seguirli. In loro io credo. E il deserto fiorirà. (Anna, 18 anni)

*Il dettaglio

Un parroco preparava con cura meticolosa le manifestazioni esterne della sua parrocchia. Soprattutto la solenne processione del Corpus Domini. Voleva che la festa fosse un vero avvenimento per il paese. Tre mesi prima della data, radunava un apposito comitato e organizzava i gruppi di lavoro. Il giorno della festa tutto il paese era mobilitato. Alle dieci e trenta in punto, la processione cominciò a snodarsi. I chierichetti con i candelabri, i paggetti nei costumi colorati, le bambine con il vestito bianco che spargevano petali di rosa, i giovanotti della società sportiva con le tute gialle e blu, gli uomini e le donne delle confraternite con i labari colorati e i nastri azzurri, gialli, rossi, poi l'Azione Cattolica, i ragazzi dell'Oratorio, la gente, la teoria dei chierichetti e la banda musicale del paese. Una processione magnifica! Quando la banda intonò il pezzo più solenne, dal portale della chiesa uscì lentamente il baldacchino di broccato dorato con i pennacchi rossi e bianchi, sorretto da quattro baldi giovani. Sotto il baldacchino, incedeva il parroco, rivestito del piviale più prezioso, che reggeva il pesante ostensorio d'oro tempestato di pietre preziose. Improvvisamente il viceparroco, che accompagnava i chierichetti, si avvicinò allarmato al parroco e gli sussurrò: "Prevosto, nell'ostensorio non c'è l'ostia!". Il parroco ribatté seccato: "Non vedi a quante cose devo pensare? Non posso occuparmi anche dei dettagli!".

Gesù solo un dettaglio? Per tanti, troppi, è così.

*Il fulmine

Durante la celebrazione della Messa domenicale, scoppiò improvvisamente un violento temporale. Un fulmine colpì il campanile e fece tremare le pareti della chiesa, che era gremita di gente.
Il celebrante, visibilmente scosso, si rivolse ai fedeli: "Interrompiamo un attimo la Messa", disse. "E mettiamoci a pregare...".

L'abitudine impolvera, incrosta, spegne anche le cose più belle e più grandi.E si finisce a farle "per finta".

Quando errava nel deserto, un giorno, Mosè incontrò un pastore. Passò tutta la giornata con lui e l'aiutò a mungere le pecore. All'imbrunire, Mosè vide il pastore che versava un po' del latte migliore in una scodella che poi depose su una pietra poco distante dalla capanna dove si trovavano. Mosè domandò a che cosa serviva quel latte e il pastore rispose: "É il latte di Dio".
Incuriosito Mosè gli chiese di spiegarsi. Il pastore gli disse: "Metto sempre da parte il latte migliore e lo offro a Dio". Mosè sentì subito di correggere la fede ingenua del pastore, e insistette: "E Dio lo beve?". "Certo!" rispose il pastore. Mosè cominciò a spiegare che Dio è puro spirito e che quindi non può bere latte. Il pastore non gli credeva e Mosè gli suggerì di nascondersi dietro un cespuglio per vedere se Dio sarebbe venuto a bere il suo latte. Il pastore si nascose appena scese la notte. Al chiarore della luna, vide un volpacchiotto arrivare dal deserto trotterellando. Dopo aver guardato a destra e a sinistra, l'animale si buttò sul latte che lappo'
golosamente. Poi sparì di nuovo nel deserto. Il giorno dopo, Mosè vide il pastore triste. "Qualcosa non va?" Gli chiese. "Avevi ragione tu" gemette. "Dio è un puro spirito e non vuole il mio latte!". Sbalordito, Mosè esclamò: "Dovresti essere contento. Adesso sai qualcosa di più su Dio rispetto a qualche giorno fa". "Si" ammise il pastore. "Ma la sola cosa che avevo per mostrargli il mio amore mi è stata tolta".
Mosè comprese. Si ritirò in solitudine e cominciò a pregare con tutte le sue forza. Nel corso della notte, Dio gli apparve e gli disse: "Mosè, hai sbagliato. É vero che sono puro spirito, ma accettavo con piacere il latte offerto dal pastore, il segno del suo amore; però, dal momento che non avevo bisogno del suo latte, lo dividevo con quel volpacchiotto che ne è goloso".
Ci sono uomini che si credono molto sapienti e deridono la fede dei semplici e delle "vecchiette". Dobbiamo ricordare sempre la gioiosa preghiera di Gesù: "Ti ringrazio, Padre, Signore del Cielo e della terra. Ti ringrazio perché hai nascosto queste cose ai grandi e ai sapienti e le hai fatte conoscere ai piccoli. Si, Padre, così tu hai voluto".
Capitò di smarrirsi a un povero viaggiatore che attraversava il deserto. Anche le sue scorte di cibo e di acqua si erano esaurite.
Le forze gli vennero meno e si lasciò cadere sulla sabbia spossato. Riaprendo gli occhi, vide a una breve distanza le palme di un'oasi.
Gli sembrò di sentire persino il gorgogliare di una sorgente. "É solo un miraggio", si disse disperato e si lasciò morire.
In una città c'erano due monasteri. Uno era molto ricco, mentre l'altro era poverissimo. Un giorno, uno dei monaci poveri si presentò nel monastero dei ricchi per salutare un amico monaco che aveva là.
«Per un po' non ci vedremo più, amico mio», disse il monaco povero. «Ho deciso di partire per un lungo pellegrinaggio e visitare i cento grandi santuari: accompagnami con la tua preghiera perché dovrò valicare tante montagne e guadare pericolosi fiumi».
«Che cosa porti con te, per un viaggio così lungo e rischioso?», chiese il monaco ricco.
«Solo una tazza per l'acqua e una ciotola per il riso», sorrise il monaco povero.
L'altro si meravigliò molto e lo guardò severamente: «Tu semplifichi un po' troppo le cose, caro mio! Non bisogna essere così sventati e sprovveduti. Anch'io sto per partire per il pellegrinaggio ai cento santuari, ma non partirò di certo finché non sarò sicuro di avere con me tutto quello che mi può servire».
Un anno dopo, il monaco povero tornò a casa e si affrettò a visitare l'amico ricco per raccontargli la grande e ricca esperienza spirituale che aveva potuto fare durante il pellegrinaggio.
Il monaco ricco dimostrò solo un'ombra di disappunto quando dovette confessare: «Purtroppo io non sono ancora riuscito a terminare i miei preparativi».
Un uomo sedeva nel mio stesso scompartimento in treno. Ad ogni stazione si alzava e guardava fuori del finestrino ansiosamente, poi si risiedeva e sospirava dopo aver brontolato il nome della stazione.
Dopo quattro o cinque stazioni il vicino di posto gli chiese preoccupato: «C'è qualcosa che non va? Mi sembra così terribilmente agitato».
L'uomo lo guardò e rispose: «Veramente avrei dovuto cambiare da un bel po' di tempo. Sto andando nella direzione sbagliata. Ma sto così comodo e al caldo, qui...».

*Il perdono

Un fedele buono, ma piuttosto debole, si confessò, come di solito, dal parroco. Le sue confessioni sembravano però un disco rotto: sempre le stesse mancanze e soprattutto sempre lo stesso grosso peccato.
«Basta!» gli disse, un giorno, in tono severo il parroco «Non devi prendere in giro il Signore. È l'ultima volta che ti assolvo per questo peccato. Ricordatelo!».
Ma quindici giorni dopo, il fedele era di nuovo là a confessare il suo solito peccato.
Il confessore perse davvero la pazienza: «Ti avevo avvertito: non ti do l'assoluzione. Così impari...».
Avvilito e colmo di vergogna, il pover'uomo si alzò.
Proprio sopra il confessionale, appeso al muro, troneggiava un grande crocifisso di gesso. L'uomo lo guardò.
In quell'istante, il Gesù di gesso del crocifisso si animò, sollevò un braccio dalla sua secolare posizione e tracciò il segno dell'assoluzione: «Io ti assolvo dai tuoi peccati...».

Ognuno di noi è legato a Dio con un filo. Quan commettiamo un peccato, il filo si rompe. Ma quando ci pentiamo della nostra colpa, Dio fa un nodo nel filo, che diviene più corto di prima. Di perdono in perdono ci avviciniamo a Dio.
«Vi assicuro che in cielo si fa più festa per un pec che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Luca 15,7).

Due monaci coltivavano rose. Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza e del profumo delle sue rose. Il secondo tagliava le rose più belle e le donava ai passanti.
"Ma che fai?", lo rimproverava il primo; "come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose?".
"Le rose lasciano molto profumo sulle mani di chi le regala!", rispose pacatamente il secondo.
C'è una gioia incredibile nel donare. E anche un buon guadagno.
Una volta un samurai grosso e rude andò a visitare un piccolo monaco. "Monaco", gli disse "insegnami che cosa sono l'inferno e il paradiso!".
Il monaco alzò gli occhi per osservare il potente guerriero e rispose con estremo disprezzo: "Insegnarti che cosa sono l'inferno e il paradiso? Non potrei insegnarti proprio niente. Sei sporco e puzzi, la lama del tuo rasoio si è arrugginita. Sei un disonore, un flagello per la casta dei samurai. Levati dalla mia vista, non ti sopporto".
Il samurai era furioso. Cominciò a tremare, il volto rosso dalla rabbia, non riusciva a spiccicare parola. Sguainò la spada e la sollevò in alto, preparandosi a uccidere il monaco.
"Questo è l'inferno", mormorò il monaco.
Il samurai era sopraffatto. Quanta compassione quanta resa in questo ometto che aveva offerto la propria vita per dargli questo insegnamento, per dimostrargli l'inferno! Lentamente abbassò la spada, pieno di gratitudine e improvvisamente colmo di pace.
"E questo è il paradiso", mormorò il monaco.
Dopo una lunga ed eroica vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò e lo condusse all'inferno.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà.
"Com'è possibile?", chiese il samurai alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!".
"Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi più di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca".
Il samurai rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa. Il Paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno. Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all'estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. "Ma com'è possibile?", chiese il samurai.
L'angelo sorrise. "All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui, al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino".
Paradiso e inferno sono nelle tue mani. Oggi.
Un uomo si recò da un monaco di clausura.
Gli chiese: «Che cosa impari mai dalla tua vita di silenzio?».
Il monaco stava attingendo acqua da un pozzo e disse al suo visitatore: «Guarda giù nel pozzo! Che cosa vedi?».
L'uomo guardò nel pozzo. «Non vedo niente».
Dopo un po' di tempo, in cui rimase perfettamente immobile, il monaco disse al visitatore: «Guarda ora! Che cosa vedi nel pozzo?».
L'uomo ubbidì e rispose: «Ora vedo me stesso: mi specchio nell'acqua».
Il monaco disse: «Vedi, quando io immergo il secchio l'acqua è agitata. Ora invece l'acqua è tranquilla. È questa l'esperienza del silenzio: l'uomo vede se stesso».
«Quando non ce la faccio più, vado a sedermi vi a mia nonna mentre lavora a maglia... Mia non profuma di cipria e ha un respiro lento lento. Di tanto in tanto alza gli occhi e sorride un poco, di so però si limita a lavorare e respirare... Beh, mi fa sentire cullata...». Amelia, 14 anni
Oggi scegliti un angolo tranquillo e lasciati cullare dal silenzio.
In Sicilia, il monaco Epifanio un giorno scoprì in sé un dono del Signore: sapeva dipingere bellissime icone.
Voleva dipingerne una che fosse il suo capolavoro: voleva ritrarre il volto di Cristo. Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e risurrezione, divinità e umanità?
Epifanio non si dette più pace: si mise in viaggio; percorse l'Europa scrutando ogni volto. Nulla. Il volto adatto per rappresentare Cristo non c'era.
Una sera si addormentò ripetendo le parole del salmo: "Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto".
Fece un sogno: un angelo lo riportava dalle persone incontrate e gli indicava un particolare che rendeva quel volto simile a quello di Cristo: la gioia di una giovane sposa, l'innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la bontà di una madre, lo sgomento di un orfano, la severità di un giudice, l'allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il volto bendato di un lebbroso. Epifanio tornò al suo convento e si mise al lavoro.
Dopo un anno l'icona di Cristo era pronta e la presentò all'Abate e ai confratelli, che rimasero attoniti e piombarono in ginocchio. Il volto di Cristo era meraviglioso, commovente, scrutava nell'intimo e interrogava.
Invano chiesero a Epifanio chi gli era servito da modello.
Non cercare il Cristo nel volto di un solo uomo, ma cerca in ogni uomo un frammento del volto di Cristo.

*La bontà cambia i cuori

Un vecchietto che da molto tempo si era allontanato dalla Chiesa, un giorno andò dal parroco. Sperava di essere aiutato finalmente a risolvere i suoi problemi di fede. Quando entrò nella canonica, c'era già una persona a parlare con lui. Il sacerdote intravide il vecchietto in piedi in corridoio, e subito, uscì a portargli una sedia. Quando l'altro si congedò, il parroco fece entrare il vecchio signore. Conosciuto il problema, gli parlò a lungo e dopo un fitto dialogo, l'anziano, soddisfatto, disse che sarebbe tornato alla Chiesa. Il parroco, contento, ma anche un po' meravigliato, gli chiese: «Senta, mi dica, di tutto il nostro incontro, qual è l'argomento che più l'ha convinta a tornare a Dio?». «Il fatto che sia uscito a portarmi una sedia», rispose il vecchietto.

*La moneta

Una grande città era dominata da un’orgogliosa e magnifica cattedrale. Su di essa svettava un superbo campanile. Ma l’opera era incompiuta, il campanile era muto: non aveva le campane. Il vescovo decise di dotare il campanile di una campana degna della cattedrale e lanciò a tutta la città un pressante invito per raccogliere oggetti d’argento da far fondere per realizzare con il contributo di tutti una campana d’argento. Un giorno, dal presule incaricato di raccogliere le oblazioni arrivò una povera vedova. Consegnò timidamente un centesimo d’argento, che era tutto quello che possedeva. L’uomo prese la moneta con piglio sprezzante e, appena la donna lasciò la stanza, lanciò la moneta fuori dalla finestra nel giardino sottostante. “Un centesimo va bene per i mendicanti! A cosa può servire per una grande opera come la nostra?”. L’iniziativa fu un successo. Fu raccolto molto argento che venne fuso per realizzare una campana stupenda: una meraviglia che a detta degli esperti non aveva nulla di simile al mondo. Il giorno di Pasqua, la maestosa campana d’argento fu benedetta e innalzata sul campanile. Poi il vescovo stesso ebbe l’onore di dare il primo rintocco della nuova campana. La campana però emise soltanto un pietoso gemito e poi si fermò del tutto. Tecnici ed esperti intervennero, ma nessuno riusciva a spiegare il perché. La campana d’argento ostinatamente taceva. Il vescovo pregò Dio di mostrargli la causa di questo fallimento. Un angelo in sogno, una notte, gli rivelò quello che il suo incaricato aveva fatto con l’offerta della povera vedova. Il vescovo cercò immediatamente il presule addetto alla raccolta delle offerte e gli chiese spiegazioni. Poi entrambi andarono in giardino e cercarono insieme, carponi, inginocchiati nell’erba e fra i cespugli, fino a quando non riuscirono a trovare la moneta della vedova. Il vescovo fece rifondere la campana, ma questa volta ci mise anche la monetina della vedova. Quando, qualche settimana dopo, riprovarono a suonarla, la campana riempì l’aria con il più bel suono che mai avessero sentito.
Anche solo un battito del tuo cuore, Dio lo sente.

*La morte della Parrocchia

Sui muri e sul giornale della città comparve uno strano annuncio funebre: «Con profondo dolore annunciamo la morte della parrocchia di Santa Eufrosia. I funerali avranno luogo domenica alle ore 11». La domenica, naturalmente, la chiesa di Santa Eufrosia era affollata come non mai. Non c'era più un solo posto libero, neanche in piedi. Davanti all'altare c'era il catafalco con una bara di legno scuro. Il parroco pronunciò un semplice discorso: «Non credo che la nostra parrocchia possa rianimarsi e risorgere, ma dal momento che siamo quasi tutti qui voglio fare un estremo tentativo. Vorrei che passaste tutti qui davanti alla bara, a dare un'ultima occhiata alla defunta. Sfilerete in fila indiana, uno alla volta e dopo aver guardato il cadavere uscirete dalla porta della sacrestia. Dopo, chi vorrà potrà rientrare dal portone per la Messa». Il parroco aprì la cassa. Tutti si chiedevano: «Chi ci sarà mai dentro? Chi è veramente morto?». Cominciarono a sfilare lentamente. Ognuno si affacciava alla bara e guardava dentro, poi usciva dalla chiesa. Uscivano silenziosi, un po' confusi. Perché tutti coloro che volevano vedere il cadavere della parrocchia di Santa Eufrosia e guardavano nella bara, vedevano, in uno specchio appoggiato sul fondo della cassa, il proprio volto.

Una nuvola giovane giovane (ma, è risaputo, la vita delle nuvole è breve e movimentata) faceva la sua prima cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri.
Quando passarono sul grande deserto del Sahara, le altre nuvole, più esperte, la incitarono: "Corri, corri! Se ti fermi qui sei perduta".
La nuvola però era curiosa, come tutti i giovani, e si lasciò scivolare in fondo al branco delle nuvole, così simile ad una mandria di bisonti sgroppanti.
"Cosa fai? Muoviti!", le ringhiò dietro il vento.
Ma la nuvoletta aveva visto le dune di sabbia dorata: uno spettacolo affascinante. E planò leggera leggera. Le dune sembravano nuvole d'oro accarezzate dal vento.
Una di esse le sorrise. "Ciao", le disse. Era una duna molto graziosa, appena formata dal vento, che le scompigliava la luccicante chioma.
"Ciao. Io mi chiamo Ola", si presentò la nuvola.
"Io, Una", replicò la duna.
"Com'è la tua vita lì giù?".
"Be’... Sole e vento. Fa un po' caldo ma ci si arrangia. E la tua?".
"Sole e vento... grandi corse nel cielo".
"La mia vita è molto breve. Quando tornerà il gran vento, forse sparirò".
"Ti dispiace?".
"Un po'. Mi sembra di non servire a niente".
"Anch'io mi trasformerò preso in pioggia e cadrò. É il mio destino".
La duna esitò un attimo e poi disse: "Lo sai che noi chiamiamo la pioggia Paradiso?".
"Non sapevo di essere così importante", rise la nuvola.
"Ho sentito raccontare da alcune vecchie dune quanto sia bella la pioggia. Noi ci copriamo di cose meravigliose che si chiamano erba e fiori".
"Oh, è vero. Li ho visti".
"Probabilmente io non li vedrò mai", concluse mestamente la duna.
La nuvola rifletté un attimo, poi disse: "Potrei pioverti addosso io...".
"Ma morirai...".
"Tu però, fiorirai", disse la nuvola e si lasciò cadere, diventando pioggia iridescente.
Il giorno dopo la piccola duna era fiorita.
Una delle più belle preghiere che conosco dice: "Signore, fa' di me una lampada. Brucerò me stesso, ma darò luce agli altri".
Un giorno, uscendo dal convento, san Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buono e san Francesco gli voleva molto bene.
Incontrandolo gli disse: «Frate Ginepro, vieni, anche a predicare».
«Padre mio» rispose, «sai che ho poca istruzione. Come potrei parlare alla gente?».
Ma poiché san Francesco insisteva, frate Ginepro acconsentì. Girarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle bot e negli orti. Sorrisero ai bambini, specialmente a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola con i più anziani. Accarezzarono i malati. Aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d'acqua.
Dopo aver attraversato più volte tutta la città, san Francesco disse: «Frate Ginepro, è ora di tornare al convento».
«E la nostra predica?».
«L'abbiamo fatta... L'abbiamo fatta» rispose sorridendo il santo.
Se hai in tasca il profumo del muschio non hai bisogno di raccontarlo a tutti. Il profumo parlerà in tua vece.
La predica migliore sei tu.
Il grande Leonardo da Vinci aveva accettato di affrescare il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano con un grande disegno che rappresentava l'Ultima Cena di Gesù con gli apostoli.
Voleva fare di quell'affresco un capolavoro e però lavorava con calma e attenzione. Nonostante l'immagine dei frati del convento il disegno progrediva molto lentamente.
Per il volto di Gesù, Leonardo aveva cercato per mesi un modello che avesse tutti i requisiti necessari un volto che esprimesse forza e dolcezza, spiritualità e intensità luminosa.
Finalmente lo trovò e diede a Gesù il volto di Agnello, un giovane franco e pulito che aveva incontrato per la strada.
Un anno dopo, Leonardo cominciò a girare nei quartieri malfamati di Milano e nelle bettole più equi e losche. Aveva bisogno di trovare il volto di Giuda, l'apostolo traditore. Cercava un volto che esprimesse inquietudine e delusione, il volto di un uomo disposto a tradire il migliore amico. Dopo notti e notti in mezzo a farabutti di ogni specie, Leonardo trovò l'uomo che voleva per il suo Giuda.
Lo portò nel convento e si accinse a ritrarlo. In quel momento vide negli occhi dell'uomo brillare una lacrima. «Perché?», gli disse Leonardo fissando quel volto torvo. «Io sono Agnello», mormorò l'uomo. «Lo stesso che le è servito da modello per il volto di Cristo».
Sui muri e sul giornale della città comparve uno strano annuncio funebre: «Con profondo dolore annunciamo la morte della parrocchia di Santa Eufrosia. I funerali avranno luogo domenica alle ore 11». La domenica, naturalmente, la chiesa di Santa Eufrosia era affollata come non mai. Non c'era più un solo posto libero, neanche in piedi. Davanti all'altare c'era il catafalco con una bara di legno scuro. Il parroco pronunciò un semplice discorso: «Non credo che la nostra parrocchia possa rianimarsi e risorgere, ma dal momento che siamo quasi tutti qui voglio fare un estremo tentativo. Vorrei che passaste tutti qui davanti alla bara, a dare un'ultima occhiata alla defunta. Sfilerete in fila indiana, uno alla volta e dopo aver guardato il cadavere uscirete dalla porta della sacrestia. Dopo, chi vorrà potrà rientrare dal portone per la Messa». Il parroco aprì la cassa. Tutti si chiedevano: «Chi ci sarà mai dentro? Chi è veramente morto?». Cominciarono a sfilare lentamente. Ognuno si affacciava alla bara e guardava dentro, poi usciva dalla chiesa. Uscivano silenziosi, un po' confusi. Perché tutti coloro che volevano vedere il cadavere della parrocchia di Santa Eufrosia e guardavano nella bara, vedevano, in uno specchio appoggiato sul fondo della cassa, il proprio volto.
In un gruppo di monaci che vivevano in caverne nel deserto, un giorno un giovane monaco andò a consultare un anziano: “Padre”, gli disse “tu sai che è da poco più di un anno che vivo nel deserto, e in questo tempo già sei o sette volte sono venute le cavallette.
Tu sai quale tormento siano, poiché si infilano dappertutto, persino dentro il nostro cibo.
Come ti comporti tu?”. “Le prime volte, quando mi cadeva una sola cavalletta nella zuppa, buttavo via tutto. Poi, toglievo le cavallette e mangiavo la zuppa. Adesso, se qualche cavalletta cerca di uscire dalla zuppa, ce la rimetto dentro”.
Con il tempo ci si abitua a tutto e si fa la pace anche con ciò che in principio era sgradevole. Qualcuno comincia anche ad apprezzare i propri difetti.
Un maestro viaggiava con un discepolo incaricato di occuparsi del cammello, erano nel deserto. Una sera arrivati ad una locanda il discepolo era talmente stanco che non legò il cammello. "Mio Dio", pregò coricandosi, "prenditi cura del cammello, te lo affido". Il mattino dopo il cammello era sparito. "Dov'è il cammello?", chiese il maestro. "Non lo so", rispose il discepolo, "Devi chiederlo a Dio! Ieri sera ero così sfinito che gli ho affidato il nostro cammello, non è certo colpa mia se è scappato o se è stato rubato, ho esplicitamente domandato a Dio di sorvegliarlo, è Lui il responsabile! Tu mi esorti sempre ad avere la massima fiducia in Dio, no!".
"Abbi sempre la più grande fiducia in Dio, ma prima lega il tuo cammello" rispose il maestro, "perché Dio non ha altre mani che le tue".
Dio solo può dare la fede, tu, però, puoi dare la tua testimonianza.
Dio solo può dare la speranza, tu, però, puoi infondere fiducia nei tuoi fratelli.
Dio solo può dare l'amore, tu, però, puoi insegnare all'altro ad amare.
Dio solo può dare la pace, tu, però, puoi seminare l'unione.
Dio solo può dare la forza, tu, però, puoi dare sostegno a uno scoraggiato.
Dio solo è la via, tu, però, puoi indicarla agli altri.
Dio solo è la luce, tu, però, puoi farla brillare agli occhi di tutti.
Dio solo è la vita, tu, però, puoi far rinascere negli altri il desiderio di vivere.
Dio solo può fare ciò che appare impossibile, tu, però, potrai fare il possibile.
Dio solo basta a se stesso, egli, però, preferisce contare su di te. (Canto brasiliano)
C'era una volta un monaco che conduceva una vita serena e tranquilla. Una sola inquietudine lo tormentava. Aveva paura dell'eternità. Gli eletti in Paradiso cantano le lodi di Dio come fanno i monaci. Un conto è farlo per un po' di tempo. Ma per l'eternità! Per felici che si possa essere alla presenza di Dio, dopo qualche milione d'anni chissà che noia...
Un giorno di primavera, se ne andò secondo la sua abitudine a passeggiare nel bosco che circondava il monastero. L'aria era viva e leggera, profumata di erba e di fiori.
Il monaco sospirò pensando al suo problema. Sopra la sua testa un usignolo cominciò a cantare. Un canto così puro, modulato, melodioso che il monaco dimenticò i suoi pensieri per ascoltarlo. Non aveva mai sentito niente di più bello. Per un istante ascoltò estasiato.
Poi pensò che era ora di raggiungere il coro per la preghiera e si affrettò. Stranamente avevano sostituito il frate portinaio con uno che non conosceva. Passò un altro monaco e poi un altro che non aveva mai visto. "Che cosa desidera?" gli chiese il portinaio.
Vagamente irritato, il nostro monaco rispose che voleva soltanto entrare per non essere in ritardo. L'altro non capiva. Il monaco protestò e chiese con veemenza di vedere l'abate. Ma anche l'abate era uno sconosciuto e il povero monaco fu preso dalla paura. Balbettando un po', spiegò che era uscito dal monastero per una breve passeggiata e che si era attardato un attimo ad ascoltare il canto di un usignolo, ma che si era affrettato a rientrare per l'ufficio pomeridiano. L'abate lo ascoltava in silenzio.
"Cento anni fa", disse alla fine, "un monaco di questa abbazia, proprio in questa stagione e in quest'ora, è uscito dal monastero. Non è più ritornato e nessuno l'ha più rivisto".
Allora il monaco capì che Dio l'aveva esaudito. Se cento anni gli erano parsi un istante nello stato d'estasi in cui l'aveva rapito il canto dell'usignolo, l'eternità non era che un istante nell'estasi in Dio.
Un profeta importunava Dio continuamente: "Perché non fai questo? Perché non sistemi quello? Vuoi che le cose continuino così? Avanti intervieni! Presto, non tardare! Che sarà del mondo se va avanti di questo passo?". Finalmente Dio gli parlò.
"Perché te la prendi tanto?" gli disse. "Lascia passare questi trentacinquemila anni e poi vedremo...".
Il tempo di Dio non è il tempo degli uomini.
Un monaco si era seduto a meditare sulla riva di un ruscello. Quando aprì gli occhi, vide uno scorpione che era caduto nell'acqua e lottava disperatamente per stare a galla e sopravvivere. Pieno di compassione, il monaco immerse la mano nell'acqua, afferrò lo scorpione e lo posò in salvo sulla riva. L'insetto per ricompensa si rivoltò di scatto e lo punse provocandogli un forte dolore.
Il monaco tornò a meditare, ma quando riaprì gli occhi, vide che lo scorpione era di nuovo caduto in acqua e si dibatteva con tutte le sue forze. Per la seconda volta lo salvò e anche questa volta lo scorpione punse il suo salvatore fino a farlo urlare per il dolore.
La stessa cosa accadde una terza volta. E il monaco aveva le lacrime agli occhi per il tormento provocato dalle crudeli punture alla mano. Un contadino che aveva assistito alla scena esclamò: «Perché ti ostini ad aiutare quella miserabile creatura che invece di ringraziarti ti fa solo male?».
«Perché seguiamo entrambi la nostra natura» rispose il monaco. «Lo scorpione è fatto per pungere e io sono fatto per essere misericordioso».
E tu, per che cosa sei fatto?

*L'offerta

In una chiesa africana, durante la raccolta dei doni all'Offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di vimini, uno di quelli che servono per la raccolta della manioca.
Nell'ultima fila di banchi della chiesa era seduto un ragazzino che guardava con aria pensosa il panie che passava di fila in fila. Sospirò al pensiero di non avere assolutamente niente da offrire al Signore.
Il paniere arrivò davanti a lui.
Allora, in mezzo allo stupore di tutti i fedeli, il ragazzino si sedette nel paniere dicendo: «La sola cosa che possiedo, la dono in offerta al Signore».

«Vi esorto dunque, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradi È questo il vero culto che gli dovete» (Lettera di San Paolo ai Romani 12,1).

*Re Magi dimenticati  

I ragazzi dell'Oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del Natale. Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di Giuseppe. C'era persino una particina per il bue e l'asino.
Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò: "Avete dimenticato i Re Magi!". Enzo il regista si mise le mani nei capelli, mancava un solo giorno alla rappresentazione.
Dove trovare i tre Re Magi così sui due piedi?
Fu Don Pasquale a trovare la soluzione. "Cerchiamo tre persone della parrocchia! - disse - Spieghiamo loro che devono fare i Re Magi moderni, vengono con i loro abiti di tutti i giorni e portano un dono a Gesù Bambino.
Un dono a loro scelta. Tutto quello che devono fare è spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel particolare dono". La squadra dei ragazzi si mise in moto e nel giro di due ore erano stati trovati i Re Magi sostituti.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito.
Senza che nessuno lo potesse prevedere il momento più commovente divenne l'entrata dei Re Magi.
Il primo era un uomo di cinquant'anni, padre di cinque figli: portava una stampella. La posò accanto alla culla e disse: "Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d'auto.
Uno scontro frontale. Fui ricoverato all'ospedale con parecchie fratture. Nessuno azzardava un pronostico.
I medici erano pessimisti sul mio recupero. Da quel momento cominciai ad essere felice per ogni più piccolo progresso: poter muovere la testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via. Quei mesi in ospedale mi cambiarono. Sono diventato umile scopritore di quanto possiedo.
Sono riconoscente per le cose piccole e quotidiane. Porto a Gesù Bambino questa stampella in segno di riconoscenza".
Il secondo Re era in verità una regina, madre di due figli. Portava un catechismo. Lo posò accanto alla culla e disse: "Finché i miei bambini erano piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata. Poi sono cresciuti e ho cominciato a sentirmi inutile.
Ma ho capito che era inutile commiserarmi.
Ho chiesto al parroco di fare catechismo ai bambini. Così ritrovai un senso alla mia vita. Mi sento come un apostolo, un profeta: aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è un'attività che mi appassiona. Sento di nuovo di essere importante". Il terzo Re era un giovane.
Portava un foglio bianco.
Lo pose accanto alla culla del Bambino e disse: "Mi chiedevo se era il caso di accettare questa parte. Non sapevo proprio cosa dire, né cosa portare. Le mie mani sono vuote. Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la vita.
Dentro di me si ammucchiano domande, inquietudini, attese, errori, dubbi. Non ho niente da presentare. Il mio futuro mi sembra così vago.
Ti offro questo foglio bianco, Bambin Gesù. Io so che sei venuto per portare speranze nuove. Vedi, io sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita. Ora che ci sei Tu tutto cambierà...".

*Ricordare la predica

Una domenica, verso mezzogiorno, una giovane donna stava lavando l’insalata in cucina, quando le si avvicinò il marito che, per prenderla in giro, le chiese: “Mi sapresti dire che cosa ha detto il parroco nella predica di questa mattina?”.
“Non lo ricordo più”, confessò la donna.
“Perché allora vai in chiesa a sentir prediche, se non le ricordi?”.
“Vedi, caro: l’acqua lava la mia insalata e tuttavia non resta nel paniere; eppure la mia insalata è completamente lavata”.
Non è importante prendere appunti.
È importante lasciarsi “lavare” dalla Parola di Dio.

Un uomo si era perduto nel deserto e si trascinava da due giorni sulla sabbia infuocata. Era ormai giunto allo stremo delle forze.  Improvvisamente vide davanti a sé un mercante di cravatte. E cercò subito di venderne una al pover’uomo, che stava morendo di sete.
Con la lingua impastoiata e la gola riarsa, l’uomo gli diede del pazzo: “Si vende una cravatta a uno che muore di sete?”.
Il mercante alzò le spalle e continuò il suo cammino nel deserto. Alla sera, il viaggiatore assetato, che strisciava ormai sulla sabbia, alzò la testa e rimase allibito: era nel piazzale di un lussuoso ristorante, con il parcheggio pieno d’automobili!
Una costruzione grandiosa, assolutamente solitaria, in pieno deserto. L’uomo si arrampicò a fatica fino alla porta e, sul punto di svenire, gemette: “Da bere, per pietà!” “Desolato, signore”, rispose il compitissimo portiere, “qui non si può entrare senza cravatta”.
Ci sono persone che attraversano il deserto di questo mondo, con una sete smodata di esperienze piacevoli e bramosie di ogni tipo. Trattando da poveri pazzi quelli che cercano di presentare il Vangelo. Ě un messaggio così stupido nel loro deserto!  Ma quando vorranno entrare nell’ “Hotel del Signore”, verrà loro detto: “Desolato, qui non si può entrare senza un cuore rinnovato”.
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